I nostri adolescenti tra sexting, cyberbullismo e azzardo online


Articolo di Ginevra Nozzoli fonte L’Espresso


Un nuovo rapporto fotografa la condizione degli adolescenti nel nostro Paese: sempre attaccati allo smartphone e dunque esposti a rischi come cyberbullismo e gioco d’azzardo. Mentre non cala il livello di dispersione scolastica, tra i più alti d’Europa: circa il 15 per cento si ferma alla licenza media.

In simbiosi con lo smartphone tra app, whatsapp e social network, assidui scommettitori online, sportivi sì ma attratti da alcol e droghe non meno delle generazioni passate, a rischio di abbandono scolastico ben oltre la media europea. Sono gli adolescenti nati a cavallo del terzo millennio, oggi tra i 14 e i 18 anni. Un universo tanto complesso da meritare il focus introduttivo del nono rapporto di monitoraggio del gruppo Crc, una rete di 90 soggetti del terzo settore, guidata da Save The Children, chiamata a verificare annualmente l’attuazione della Convenzione Onu su Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese.

Quali risposte dall’Italia sui diritti fondamentali a salute, istruzione, protezione da abusi e violenze? Con cifre raccolte da studi e ricerche dell’ultimo biennio, status quo delle politiche di prevenzione in atto e moniti su azioni mancate e progetti da attuare, l’analisi racconta i giovanissimi italiani. E un Paese che forse non se ne cura a sufficienza.

Sono 2 milioni e 293mila 778 secondo gli ultimi dati Istat. Di questi il 92,6 per cento, si legge nel rapporto, dichiara di non separarsi quasi mai dal telefonino. A scuola, a casa, a pranzo, a cena, lo smartphone per stare sempre connessi è un terzo braccio. Il 67,8 per cento lo utilizza quotidianamente già tra gli 11 e i 13 anni. Il 69 è online anche dal computer, il 23,6 tra le 2 e le 4 ore giornaliere. Le femmine più dei maschi. Vite off e online si intrecciano in un processo inarrestabile, e tutelare i minori nel mare magnum dell’etere è un’urgenza che ancora non trova risposte adeguate.

Si parla di libertà, uguaglianza, dignità e diversità della persona, anche online, nella Dichiarazione dei diritti in internet resa pubblica alla Camera a luglio 2015. Ma «senza alcuna misura o attenzione dedicata alla minore età», come specificato dai ricercatori. Esiste un Codice Media e Minori, che aspetta una revisione dal 2008, ma si occupa per lo più di protezioni legate alle programmazioni delle emittenti televisive. E anche l’ultima bozza da approvare nelle competenti commissioni parlamentari, passaggio al digitale a parte, «non affronta, neppure in termini programmatici, le questioni connesse alla diffusione dei nuovi media».

Perché se è un errore demonizzare il virtuale per le enormi possibilità di crescita e sperimentazione che offre, sembra esserlo altrettanto sottovalutarne i rischi legati a sicurezza e comportamento sociale. Parlano i numeri. Secondo un’indagine Istat del 2014 citata nel rapporto, il 6 per cento di intervistati ha subito azioni vessatorie tramite sms, mail, chat o social network nei 12 mesi precedenti la rilevazione.

Vittime preferenziali degli adescamenti online le ragazze, con il 7,1 per cento contro il 4,6 dei ragazzi. Due adolescenti su tre ritengono che il cyberbullismo sia un fenomeno in crescita, il 38 per cento lo percepisce come il primo dei pericoli.

Le Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera stanno esaminando alcune proposte di legge in materia, tra queste l’introduzione di norme penali per una fattispecie di reato relativa al solo cyberbullismo. Ma l’impianto punitivo non convince: i reati legati a condotte vessatorie già esistono, e così «si rischia di focalizzare l’attenzione sulla punizione, laddove la misura più efficace rimane la prevenzione».

E dal bullismo in versione digitale si passa al sexting (combinazione inglese delle parole sex e texting), quando due o più minorenni di scambiano, consensualmente, foto, messaggi, video a esplicito contenuto sessuale. Da un’indagine del 2016 condotta da Censis e Polizia postale emerge che circa il 10 per cento dei dirigenti scolastici italiani ha dovuto gestire episodi simili. E il 25,5 per cento di loro ha riscontrato difficoltà nel «rendere i genitori consapevoli della gravità dell’accaduto». Se infatti non vi è intenzione di danneggiare o sfruttare l’altro, non è da escludere, spiega il rapporto, «che i comportamenti tipici del sexting possano configurare reati connessi con la pedopornografia».

In Italia non esiste una legislazione a riguardo, salvo riferimenti impliciti nell’educazione alla parità di genere, materia di recenti interventi legislativi parlamentari, dove si accenna alla necessità di formazione del personale scolastico su questi temi. Da qui le raccomandazioni del gruppo di ricerca dirette al Miur per l’introduzione del tema dell’affettività e della sessualità come materia curriculare, «in particolare con l’adozione di percorsi formativi per gli insegnanti e moduli didattici strutturati, mutuando anche l’esperienza di altri Paesi europei».

Al pc per chattare e conoscere, ma anche per giocare d’azzardo o scommettere sulla squadra del cuore. La legge vieta la partecipazione dei minori a giochi con vincita di denaro, ma sul web tutto è possibile. E dai dati dell’Osservatorio su tendenze e comportamenti degli adolescenti, rilevati su un campione di circa 4mila giovani su tutto il territorio nazionale, emerge che tra i nativi digitali l’11,5 per cento dei ragazzi intervistati gioca regolarmente d’azzardo online, e il 13 scommette, per lo più sul calcio. La Legge di Stabilità prevede misure generiche per frenare la promozione del gioco, accolte con favore dai sostenitori delle campagne no slot, ma non si occupa di tutele per i minori. Anche qui, un vuoto da colmare.

E ai pericoli di ultimissima generazione, si sommano altri rischi ben noti. Gli adolescenti di oggi, come quelli di ieri, non si fanno mancare alcol e sostanze psicoattive, con trend di consumo in aumento. Le bevande alcoliche fanno da costante, insieme ad hashish e marijuana, le droghe più in voga secondo quanto rilevato da un’indagine del 2014 del Dipartimento politiche antidroga. Il 26,7 per cento degli studenti intervistati ne ha fatto uso almeno una volta nella vita, il 15 ammette l’assunzione nei 30 giorni precedenti la rilevazione. Significativo a riguardo anche il numero di “segnalati” delle forze dell’ordine, con il 34,5 per cento dei maschi e il 35 di femmine che non superano i vent’anni.

A marzo 2015 il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale ha siglato un protocollo per la promozione di interventi di prevenzione, con l’individuazione di risorse economiche destinate, (e indizione di bandi specifici), pari a 8 milioni e 500 mila euro. Ma il lavoro è appena cominciato. E al Ministero della Salute il gruppo Crc rivolge un chiaro sollecito a incentivare le campagne informative «rispetto ai danni derivanti dalle sostanze psicotrope e dal fumo e percorsi educativi indirizzati agli adolescenti».

Altro fronte critico che richiede un monitoraggio puntuale tocca scuola e abbandono dei percorsi formativi. Nel 2014, spiega il rapporto, il 15 per cento dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni ha conseguito al massimo il titolo di scuola media. Cinque punti sopra quel 10 per cento fissato dall’Europa come soglia massima obiettivo per il 2020. Un dato in calo negli ultimi anni, ma ancora consistente, specie nelle regioni del sud Italia. Molti dispersi poi finiscono per rientrare nella categoria dei Neet, (not in education, employment or training), i giovani che non studiano e non lavorano. L’Istat ne ha contati oltre due milioni, circa il 24 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni, una quota significativamente superiore alla media Ue.

«Tutte criticità ripetutamente segnalate al Miur» spiegano i ricercatori. Nel 2005, con il Decreto Legislativo 75, era stata prevista la costituzione di un’Anagrafe nazionale degli studenti, ma gli ultimi dati disponibili risalgono all’anno accademico 2011-2012. Da qui la difficoltà di monitorare l’abbandono in tempo reale (assenze, interruzioni di percorso, bocciature) e individuare così le corrette politiche da applicare.

Certo non mancano le spinte positive, quelle che chiedono al mondo adulto riconoscimento e valorizzazione. Dalle indagini sull’associazionismo risulta che, nel 2015, l’8,4 per cento degli adolescenti tra i 14 e i 17 anni ha partecipato ad associazioni culturali, ricreative o di altro tipo. Il 9,7 ha svolto attività di volontariato (nel 2014 erano l’8,6). E lo sport, i numeri confortano, mantiene un ruolo cardine nella vita dell’adolescente: il 67,2 per cento dei ragazzi e il 51,5 delle ragazze svolge lo pratica regolarmente nel tempo libero, anche in forma agonistica.

E se in Italia si legge poco, sono le fasce d’età 11-14 e 15-17 a mostrare le migliori percentuali rispetto al resto della popolazione. Rispettivamente il 52 e il 54 per cento ha letto almeno un libro nel 2015, rispetto al 42 della popolazione dai 6 anni in su. Anche la quota di adolescenti che sono andati almeno una volta in un anno a teatro, al cinema, a una mostra, a un concerto è molto più elevata della media, seppur ridotta rispetto agli altri paesi europei. Buone pratiche dalle quali partire per potenziare l’impianto di politiche a tutela della popolazione adolescente del Paese.

Lo sottolinea Arianna Saulini, di Save the Children e coordinatrice di Crc. «Ragionare sulle politiche per gli adolescenti, considerandole come parte integrante delle politiche rivolte in senso più ampio ai giovani, è fondamentale». L’Europa lo sta facendo, con la promozione di «iniziative che mettano definitivamente da parte la visione dei giovani come problema, riconoscendoli pienamente come risorsa, da rilanciare mediante politiche di empowerment». Servono interventi educativi qualificati, «che coinvolgano in sinergia famiglia, scuola, istituzioni, Terzo Settore e, allo stesso tempo, attivino le risorse dei ragazzi e delle ragazze valorizzandone il protagonismo». Perché «investire adeguatamente sugli adolescenti significa permettere loro di progettare percorsi di vita, rafforzati da un forte senso di appartenenza e di cittadinanza, e di vivere fuori dalla marginalità». Protagonisti attivi, reali più che virtuali, del nostro tessuto sociale.